A Venezia gli abitanti non ci stanno più. È notizia delle ultime ore la decisa protesta che i locali hanno imbastito – forse in modo un po’ ingenuo – contro il degrado della loro città, che loro attribuiscono pressoché in toto alla massiccia presenza di turisti, colpevoli di devastare la città di Venezia.
“Tourists go away, you’re destroying this area” (Turisti, andate via, state distruggendo questa zona) recita il volantino affisso su uno dei muri del centro città, prontamente eliminato poco dopo. Il volantino è apparso in una zona un tempo poco frequentata dal turismo mordi e fuggi, si tratta di campo della Bragora nei pressi di ponte San Martino, nel sestiere di Castello.
Soltanto una settimana fa erano apparsi, sui cestini in riva degli Schiavoni, sempre nel sestiere di Castello, dei manifesti che raffiguravano un maiale in costume che getta rifiuti per terra con la scritta in inglese «Stop. Io non sono benvenuto a Venezia». D’altronde il video pubblicato su Youtube dove si vedono alcuni ragazzi in procinto di tuffarsi nel Canal Grande non lasciava presagire niente di buono.
Si dirà che il turismo è comunque un fattore positivo, per la crescita – anche economica – della città. Ma chi ci guadagna davvero? Non gli albergatori e i gestori di bed & breakfast costretti a fare i conti contro la concorrenza sleale di ostelli improvvisati da 20 euro a notte. E nemmeno i ristoratori visto che, sempre più spesso, a Venezia si passano poche ore o al più mezza giornata, per risparmiare o per necessità (i crocieristi ne sono un esempio lampante).
Così il sindaco Luigi Brugnaro si sfoga su Twitter: “Insisto: poteri speciali alla città per l’ordine pubblico. Borseggiatori, imbrattatori, ubriachi! Una notte in cella”. Sembra di risentire Augusto Salvadori, assessore al Turismo, che tuonava ” Il tappeto umano di sacchi a pelo davanti alla stazione, i picnic a San Marco, la gente che orina sulle saracinesche, i turisti che attraversano la città in gommone senza neanche la canottiera, i gondolieri che ai clienti non cantano le canzoni nostre”. Era il 1986. Da allora, cos’è cambiato?